Notte a sorpresa

di Andrea Saviano

Non era un bel periodo per Eros e quel diluvio universale pareva essere la classica ciliegina sulla torta.

Da ore il cielo s'era trasformato in un'immensa cateratta. La pioggia cadeva con una tale intensità da provocare un assordante rumore. Pareva quasi volesse malmenare il tettuccio della macchina.

I tergicristalli sembravano più impegnati a resistere alle folate di vento che dediti al compito di eliminare il velo d'acqua che ottenebrava il parabrezza.

All'interno dell'abitacolo l'umidità evaporava creando una patina di condensa sui vetri che la ventilazione forzata pareva agevolare anziché togliere, cosicché Eros era costretto con la mano a ricavarsi di tanto in tanto un oblò attraverso il quale scrutare l'asfalto ridotto a mare in tempesta.

Se scrutare il mondo esterno sembrava arduo, scorgere qualcosa era quasi impossibile.

Quasi non fosse bastante la pioggia, c'era il vento. Non il neoclassico soffio delicato della brezza estiva, ma romantiche raffiche tese e improvvise. Cosicché per quanto Eros tenesse saldo il volante pareva vano il tentativo di mantenere il controllo dell'auto.

Per farla breve, vento e pioggia che portavano acqua da sopra, da davanti, da dietro, di lato e persino – con gli schizzi – dal basso.

Eros dopo aver abbandonato la periferia industriale presso la quale era l'industria in cui lavorava aveva perso il senso dell'orientamento, come accade quando ci si perde nella nebbia. Dentro quell'abitacolo umido e caldo come una jungla tropicale aveva l'impressione di trovarsi in un non luogo.

Non c'era più il solito tragitto lavoro-casa fatto di rettilinei o svincoli familiari, ma un generico punto qualsiasi su questa terra che poteva benissimo essere un qualunque altro luogo nell'immenso vuoto che aveva dentro di sé.

Lo spazio e il tempo erano due naufraghi in procinto d'affogare in quella burrasca.

Tutto sommato più che un tragitto nello spazio a Eros sarebbe stato utile un bel viaggio nel tempo, tormentato com'era dai ricordi.

Se gli fosse stato possibile riavvolgere il nastro della vita e registrare sopra il recente passato, cancellandolo, probabilmente lo avrebbe fatto.

Tutto ciò che era accaduto da un dato momento in poi in questo modo non sarebbe mai esistito.

Tutto sommato non gli era successo niente di particolare, una di quelle cose che succedono prima o poi a molti: era finito un amore.

Non un grande amore, nemmeno un piccolo amore. Un amore e basta.

Eppure per lui che l'aveva vissuto era stato un qualcosa così importante da ritenere che se lo sarebbe portato dentro fino alla tomba.

Inutile per amici e parenti ribadirgli che sono cose che accadono, per Eros quell'amore era – ancora al presente e non al passato – tutta la tua vita, nonostante fosse stato un sentimento pieno di piccole bugie, di frasi non dette, di stati di malessere mal celati.

La questione girava per Eros e altre migliaia di persone nel fatto che dietro la parola amore si nasconde un dramma che spesso può sfociare in tragedia: ci s'innamora in due ma solitamente smette d'amare uno solo e questo – anche se si dice che in amore non si vince e non si perde – rende il “piantato” uno sconfitto.

Cos'altro aggiungere se non che Eros aveva visto disgregarsi il suo unico, semplice, banale e al tempo stesso grande sogno: una serena vecchiaia insieme alla persona amata. Il rumore con cui era andato in frantumi quel sogno era stato: « Scusa Eros ma io non ti amo più, c'è un altro da mesi nella mia vita, si chiama Sosia e io non me la sento più di andare avanti così. » C'erano stati mesi d'angoscia, l'illusione di poter rimettere insieme i cocci e le delusioni provenienti dalla vita reale, perché quando le cose vanno a rotoli sono come la porta di uno sgabuzzino estremamente disordinato che venga sbadatamente aperto. All'improvviso ne esce di tutto.

Un vaso di Pandora ricolmo di sventure.

Una sequenza di sfortunati eventi che giungono uno dietro l'altro distruggendo e travolgendo l'incauto che malauguratamente ha aperto quel ripostiglio.

Mille futili motivi apparsi sempre come dei granelli di sabbia che, accumulati giorno dopo giorno, si trasformano – quasi improvvisamente e quasi inconsapevolmente – in un'instabile montagna.

Un'altura che non frana travolgendo tutto, piuttosto si leva originando una tempesta di sabbia. Nasce da un alito leggero e sottile e diventa poi tormenta che solleva il terriccio asciugandolo.

Un vento abrasivo come carta vetrata che ferisce gli occhi fino a farli bruciare, cosicché le lacrime stesse, invece che dare sollievo, infliggono ulteriore dolore e si trasformano in pianto.

In questo s'era trasformato quel solito lungo viaggio da pendolare per tornare e basta!

Niente più moglie, niente più figli e niente più casa. Solo uno squallido mini-appartamento arredato dove trascorrere questo suo forzato esilio.

Non fosse bastato tutto ciò, un tribunale l'aveva costretto a versare gli alimenti alla moglie, mentre questa conviveva con un altro in quella che era stata casa sua.

La legge sa essere ingiusta, infatti quest'altro poteva vantare molti diritti non dovendo assolvere a nessun dovere, se non quello del talamo nuziale.

A Eros che restava?

Non c'era più nella mente, nel cuore o nella realtà qualcosa che esprimesse il concetto accogliente di casa, di famiglia o di focolare. C'era solo un posto come un altro dove andare dopo un'estenuante giornata di lavoro in catena di montaggio. Una stanza in cui cenare, un'altra in cui dormire o, più precisamente, far trascorrere al riparo una notte costellata più da incubi che da stelle.

Ora, se l'ansia della puntualità rendeva la mattina il viaggio sopportabile, il percorso serale a ritroso s'era trasformato ormai in una specie di monte Calvario. Un tragitto apparentemente senza fine che lo trascinava giorno dopo giorno dentro il medesimo processo agli errori passati.

Si cominciava con un tribunale d'inquisizione, per poi passare ad una flagellazione preliminare, perché la vera pena era la crocifissione finale, che giungeva sempre dopo un penoso itinerario caratterizzato dal dileggio.

Ogni ricordo che luoghi, istanti e gesti aveva forgiato in lui, s'era in tal modo ridotto a tappa di una via crucis. Così, tutti i viaggi verso il suo alloggio avveniva in compagnia di alcuni “fantasmi” e l'ingresso in auto a fine turno altro non era che la prima stazione del canto doloroso intonato dallo squillo della sirena della fabbrica in cui Eros lavorava.

Basti pensare al fatto che per Eros il concetto stesso di partire ma non tornare era la sorgente del dolore che gli albergava nel cuore; cosicché il solo gesto di salire in auto e girare la chiavetta restituiva corpo e anima all'ombra dei suoi flagellatori, rendendoli tangibili compagni di viaggio.

Un patibolo che vedeva: lui vittima silente e loro carnefici oltremodo ciarlieri e noiosi, simili a dei pignoli notai pronti a elencare ogni suo singolo errore e a ripetere con precisione ogni frase bugiarda detta dalla moglie e dai lui creduta vera.

Eros s'affannò con la mano a ripristinare l'oblò attraverso il quale scrutare l'ostile ambiente esterno. « Signori, » disse, quasi fosse su un palcoscenico, « ho solo quattro compari a farmi compagnia. Angoscia, Frustrazione, Dolore e Depressione sono i loro nomi. »

Ecco chi erano i suoi compagni di viaggio. Ognuno seduto al suo posto, la cintura ben allacciata, perché da quel pazzo alla guida ci si sarebbe potuto aspettare di tutto, anche un gesto folle e disperato.

CONTINUA